Il mio migliore Amico - Maria L.

         

Eravamo sdraiati sul suo letto. Io e il mio migliore amico. Nulla di strano, almeno apparentemente. Poi ho cominciato a guardargli le labbra, erano così rosse e carnose e all’improvviso pensai : “Oh cazzo! Sono innamorata di lui!”. Fu l’inizio della fine. Alessandro si era appena fidanzato con una bassa, volgare e bionda e tutti ci domandavamo che cosa ci avesse trovato in lei. Tutti potevano insultarla e parlarne male, ma io no. Io ero quella che doveva essere felice perché lui era felice, io ero quella che parlava con lui quando si scocciava di chiamare la sua ragazza, io ero quella che gli consigliava di regalarle un peluche per il suo compleanno perché avrei voluto averlo io, io ero quella che sorrideva vedendoli insieme, mentre morivo dentro. Per sei mesi ho fatto finta di niente e ho tenuto questo “segreto” nascosto dentro di me. Avevo paura di perderlo, di perdere la nostra amicizia, ma i suoi comportamenti ambigui non facevano altro che farmi venire dubbi e farmi credere che forse qualche speranza ce l’avevo. Ma forse è vero che quando siamo innamorati vediamo solo quello che vogliamo vedere. Per un periodo mi sentii con un ragazzo, Claudio, il cugino di una mia amica, era carino, ma non lo dissi ad Alessandro né agli altri nostri amici, lo sapevano solo le ragazze. Finché una sera Claudio mi chiamò mentre ero in macchina con il migliore amico di Alessandro e il giorno dopo boom! Ovviamente lo sapeva tutta la classe. I ragazzi cominciarono a prendermi in giro, Marco imitava il mio modo di parlare quando ero a telefono  con Claudio e dicevano che volevano conoscerlo, ma Alessandro era lì di fronte a me, seduto al tavolo del bar fuori scuola, immobile, con lo sguardo basso, fu l’unico che non disse nemmeno una parola. Anche durante il viaggio di ritorno in treno e mentre tornavamo a casa a piedi dalla stazione, non mi guardò, né mi parlò. Il pomeriggio mi chiamò, fece finta di niente e parlammo dei compiti e di scuola, e poi mi disse “Allora non hai niente da dirmi?”. Io gli raccontai qualcosa di Claudio, che ci stavamo sentendo, ma che non c’era ancora stato niente tra di noi, perciò non gliene avevo parlato. E lui attaccò il telefono un po’ deluso. Il giorno dopo a scuola siamo stati sempre vicini, sempre abbracciati, lui forse aveva paura di perdermi ed io ero una povera illusa che credeva di avere una speranza con il suo migliore amico. Mentre eravamo abbracciati, lui tirò fuori l’argomento ‘Claudio’ e credo che non me lo scorderò mai quel momento. Lui sempre così sicuro di sé, un po’ presuntuoso, il primo uomo della situazione, era lì, abbracciato a me, con gli occhi bassi, giocherellando con le dita sul banco per il nervosismo, che mi confessava la sua debolezza e tutta la sua fragilità. Disse che non sopportava il fatto che io mi sentissi con lui, diede un pugno forte al banco e senza guardarmi, mi disse “Io sono geloso!”. Un’altra persona più sveglia e furba di me avrebbe approfittato di quel momento per uscire dalla ‘zona amici’ e capire cosa lui provava. Ma io ero troppo stupida.. O troppo innamorata, che poi è la stessa cosa. Non riuscii a dire nulla, ma riuscii solo ad abbracciarlo forte forte. Quella dichiarazione di debolezza da parte sua era più dolce di qualsiasi dichiarazione d’amore da chiunque altro. E la cosa meravigliosa era che in quel momento ero io la sua debolezza. Questo è stato sicuramente il momento in cui ho pensato “Devo dirglielo”, forse anche lui mi ama! Ma è stato solo un momento. A quello ne è seguito un altro, quando la zingara (la ragazza di Alessandro) lo lasciò. Eravamo ad una festa di 18 anni e Alessandro era seduto sul divano con le lacrime agli occhi. E io ero lì che lo guardavo da lontano, avrei voluto consolarlo, ma sapevo che non avrei potuto. Vedere soffrire la persona che ami è la cosa peggiore che possa capitare. Se poi a farla soffrire è una tipa dai capelli biondo platino che sembra un trans, è ancora peggio! E’ stato lì che ho capito il senso della frase “Se ami davvero qualcuno, vuoi solo che sia felice, anche se non con te”. Ed è stato lì che ho veramente amato Alessandro. Ho passato il giorno dopo a piangere e a pregare (anche se normalmente non sono una che prega), ma ho pregato che si rimettessero insieme perché non sarei mai riuscita a sopportare di vederlo soffrire in quel modo. Da quel momento è stato un continuo alternarsi di inferno e paradiso. C’erano momenti in cui credevo che potesse amarmi ed ero felice e momenti in cui capivo quanto lui amasse lei e cadevo nella depressione. Era un continuo sali e scendi, una giostra infinta. E come se non bastasse a tutto ciò si aggiungeva il senso di colpa. Era lacerante. Continuavo a chiedermi perché mi fossi innamorata di lui. Avrei voluto tornare indietro nel tempo e non innamorarmi, non soffermarmi a guardare le sue labbra. Forse se quel pomeriggio non mi fossi sdraiata con lui su quel letto, non me ne sarei innamorata e la mia vita sarebbe stata diversa. O forse me ne sarei innamorata lo stesso? Non lo saprò mai, ma sapevo che più amavo lui, più odiavo me stessa. Perché ero la sua migliore amica, dovevo essere una persona leale e sincera, non una che ti pugnala alle spalle e si innamora di te! Ecco mi sentivo come se l’avessi tradito, come se avessi tradito la nostra amicizia. E adesso o continuavo a fare finta di niente e ciò significa essere una pessima amica, oppure gli confessavo il mio amore, mandando a puttane la nostra amicizia e quindi sarei stata quella che ha rovinato tutto, cioè una pessima amica. Morale della favola: io ne sarei uscita sempre distrutta, in entrambi i casi non sarei più riuscita a guardarlo negli occhi e avrei perso la sua amicizia. E mi domandavo che cosa avrei fatto poi senza di lui? Poi c’era una terza possibilità. Quella che le mie amiche e tutti i nostri compagni di classe sostenevano, cioè che anche lui fosse da sempre innamorato di me. Secondo questa terza opzione io gli avrei detto di amarlo, lui mi avrebbe detto di avermi sempre amata anche lui, avrebbe lasciato la strega platinata e saremmo vissuti insieme felici e contenti, per sempre. Tutta colpa della Disney che ha deviato le menti delle mie amiche, e anche la mia. Se fossi stata in un film o in Dawson’s Creek sicuramente il mio amore sarebbe stato ricambiato, ma questa è la vita reale, perciò continuavo a ripetermi ‘Lui sta con lei, lui sta con lei’. Eppure c’era una voce dentro di me che per quanto cercassi di zittire si domandava: “ E se ti amasse anche lui?”. Così scelsi un giorno: 07/07/07. Ci poteva essere una data più simbolica di questa? Tra una pausa e un giro di parole dissi: “Ale io mi sono innamorata di te” e continuai in un monologo senza senso, in cui dicevo che non era niente e che mi sarebbe passato. Dopodiché sono crollata nella più lunga risata isterica della mia vita, ho riso dalle cinque del pomeriggio alle nove di sera, ininterrottamente e non riuscivo a smettere. Forse mi sentivo libera. Lui mi chiamò la sera. Disse che non se lo aspettava e che si era ‘affezionato’ alla zingara. Già usò proprio quel verbo. Non disse io la amo, io non ti amo, non posso vivere senza di lei, disse io mi sono affezionato, come se fosse un cane! Dopo 7 mesi tu sei affezionato? Se fossi stata la zingara, gli avrei sputato in faccia! Quella parola proprio non mi scendeva giù, ma avevo 2 mesi d’estate davanti, nella mia casa al mare, lontana da lui.. L’estate finì e tornata a casa mi aspettavo un minimo di conversazione su quello che era successo con lui e invece niente, come se non fosse successo nulla, ma io non riuscivo a comportarmi come se niente fosse, così alternavo momenti in cui non riuscivo a stargli vicina, a momenti in cui non riuscivo a stargli lontana. E soprattutto negli ultimi mesi dell’ultimo anno di liceo riacquistammo quel rapporto -amicizia/nonsisacosasia- che avevamo sempre avuto. Ero nella fase sono gli ultimi mesi di liceo poi ci separeremo quindi voglio godermi ogni istante con lui, anche se devo fare finta di niente. Ma lui tornò ad essere lo stesso. Lo beccavo che mi guardava di nascosto, mi regalò un peluche per i miei 18 anni, dormimmo insieme in gita, cacciò un ragazzo che ci stava provando con me e ballò con me, mi diede un bacio sulle labbra quando partì per l’università. Era di nuovo inferno e paradiso, e anche se stava ancora con lei e anche se in teoria ora ero cresciuta e sarei dovuta riuscire ad allontanarmi da lui, io continuavo a stargli vicino quanto più potevo, forse ero solo un’amica, ma per me quei piccoli gesti valevano più di qualsiasi altra cosa ed io ero felice. Poi ho capito di avere toccato il fondo. Andammo ad una festa di Halloween e lui era mezzo ubriaco, c’era la sua fidanzata, ma lui mi chiamò in disparte, cominciò a parlarmi, a chiedermi come stavo, mi spinse al muro e cominciò a toccarmi, accarezzarmi, abbracciarmi. Insomma a provarci con me, lì davanti a tutti e con la zingara presente. Una parte di me avrebbe voluto fare finta che non fosse ubriaco e arrendersi a lui, dimenticando tutto il resto, ma purtroppo io non sono mai riuscita a mettere da parte l’orgoglio, se lui mi voleva, doveva avere le palle di scegliere me anche da sobrio. Fu lì che capii che avrei anche potuto accettare che lui non mi amasse, ma non sarei mai riuscita ad accettare il fatto che lui provasse qualcosa per me, ma che questo non fosse abbastanza per lasciare lei e correre il rischio con me. Prima la cosa che mi feriva di più era il pensiero di non essere ricambiata, ora faceva più male sapere di essere ricambiata, ma di non essere abbastanza per mandare tutto a rotoli e scegliere me. Io non ero abbastanza. Ora sì che avevo toccato il fondo e calpestato la mia dignità e giurai a me stessa che mai più lui o qualcun altro mi avrebbero fatta sentire in quel modo. Quella sera ciò che non era mai iniziato finì. Ci sentimmo e vedemmo un altro paio di volte, ma in maniera molto fredda e distaccata, poi abbiamo continuato le nostre vite in due università diverse, in due città a mille chilometri di distanza. Semplicemente noi due che eravamo stati così uniti, quasi un’unica cosa, diventammo due estranei. All’inizio non è stato facile. Mi mancava da morire. Una volta ogni cosa riguardava anche l’altro e ora era così strano fare le cose senza di lui e senza potergliele nemmeno raccontare. Ogni volta che facevo un esame, volevo chiamarlo per dirgli che avevo preso 30, era così orgoglioso che fossi entrata a medicina. Ogni volta che veniva a lezione un professore strano, mi immaginavo lui che lo imitava per farmi ridere. Ogni volta che prendevo il treno, mi venivano in mente tutte le canzoni che sentivamo insieme dal suo ipod durante il viaggio. Ma non potevo continuare così, lui non era morto! Era vivo, solo che non faceva più parte della mia vita. E non potevo continuare a trattarlo come un fantasma. Così un giorno l’ho bloccato su facebook, ho cancellato i suoi numeri e i messaggi, e ho nascosto tutti i biglietti e i ricordi. E sono andata avanti. Questa è la vita vera, non Dawson’s Creek. Certo ancora oggi se mi capita di vedere in un film o in un programma storie di amici come noi, mi vengono le lacrime agli occhi, ma respiro e me le trattengo. Paradossalmente sarei dovuta uscire da questa storia piena di complessi e insicurezze e invece ne sono uscita con una grande fiducia e un grande amore per me stessa. Ed è questo il mio lieto fine. L’amore aspetterà.

(Di: Maria L.)

                                   

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