Non avevo ricevuto
più una sua lettera, ne una squallida e-mail, era sparito così,come il vento
porta via le foglie cadute dagli alberi in autunno. Sempre, anche solo per un
minuto pensavo a cosa stesse facendo, come trascorreva le sue giornate e se
almeno una volta al giorno lui mi pensava proprio come succedeva a me. Ma forse
pretendevo troppo. La nostra storia del resto era stata interrotta dalla sua
partenza e non potevo far altro che accettarlo. Accettare la distanza. Una distanza tale da far
piangere il cuore, il mio. Una distanza che sfocia nella perdita, la perdita di
un amore che ancora non era sbocciato nella sua completezza. Quella sera mi
aveva lasciato con la sua macchina davanti
a casa mia. Ricordo ancora quando gli avevo chiesto se voleva entrare,ma
uno stupido aereo lo aspettava solo qualche ora dopo e non si sarebbe potuto
trattenere di più. << La distanza non distrugge un rapporto Vivienne>> .
Queste erano state le sue ultime frasi e poi un bacio, quel bacio bagnato che
non dimenticherò mai, tra i sedili della macchina decappottabile dove ero
salita la prima volta che ci eravamo conosciuti così per caso. Ricordo ancora
quel giorno d’estate. Era luglio e faceva un caldo infernale, avevo perso ogni
speranza di tornare a casa e avevo deciso di fare l’autostop. Perdere l’unico
autobus disponibile per tornare a in città nel bel mezzo della campagna e non
avere la carica sul telefonino per chiamare un taxi era una situazione davvero
rassicurante. Un’ ora e mezza intensa di autostop e nessuna macchina si era
fermata. Il sudore colava sulle mie guance rosse e scottate dal sole che
picchiava sull’asfalto grigio della strada. Non era affatto facile mantenere la
calma, poi quando decisi di arrivare al paese più vicino a piedi, una macchina
mi superò parcheggiando davanti a me. Un miracolo pensai. Una cabrio nera
metallizzata e un uomo a bordo di essa. Scese con eleganza dalla sua automobile
brillante e avvicinandosi chiese se mi serviva aiuto. << Sono due
benedettissime ore che sto cercando invano di trovare un passaggio e nessuno si
è fermato! Lei, lei, lei è semplicemente speciale lo sa vero?>>. Ero rossa
paonazza e sudata dalla testa ai piedi, mi facevo anche schifo, ma oramai
quello che contava era tornare a casa, anche con il più pervertito camionista
che c’era in circolazione. << Mi sono semplicemente accorto di una bella
donna che passava svelta in una strada di campagna un po’ distante dalla città
e mi chiedevo se avesse bisogno d’aiuto?! Allora, dove vuoi che ti porto? Io
sto tornando a casa. Abiti a Cottonwood?>> E alla fine mi aveva riportata a casa
nel giro di una mezz’ora, una mezz’ora intensa di discorsi. <<Benjamin, per
gli amici ben>>! Ricordo perfettamente come se fosse ieri il suo tono di voce
quando si era presentato. Era un imprenditore di Los Angeles che viaggiava per
il mondo, e che ogni tanto tornava nella sua città natale,da sua madre. E dopo
il primo incontro, lo avevo invitato a cena, nel mio appartamento vicino alla
stazione, dove treni passavano di rado. E dopo la cena, il cinema, il mare e il
primo mese insieme. E infine quella stupida promessa, la promessa che gli avevo
fatto di non impegnarmi troppo sentimentalmente perché sarebbe partito a
dicembre. E dicembre arrivò con il sole stanco che va a dormire presto e le
luci dei lampioni della città che si accendono appena le cinque del pomeriggio.
L’Europa, il vecchio continente lo aspettava a braccia aperte e io non potevo
lasciare il lavoro, le mie amiche, tutto..e partire con lui. Sarebbe stata una
follia. Una follia che forse mesi dopo avrei
deciso di compiere.
Febbraio: dopo due
mesi di lettere e di video chat in cui ci raccontavamo i nostri episodi di vita
quotidiana, il buio. Non c’era più traccia di lui nella mia cassetta della
posta rosso semaforo, e nemmeno nella
posta virtuale di google. Ultima litigata e poi il suo abbandono. <<
Ti avevo avvertita>>. Queste erano state le sue ultime parole riguardo a me,
a me che non avevo controllato i miei sentimenti,come se essi fossero
controllabili, a me che ho avuto sempre la speranza di poter stare insieme a
lui un giorno, a me che non facevo altro che mettere da parte i soldi per
raggiungerlo in Europa il prima possibile. Ma lui no. Non voleva soffrire per
me, e per nessun’altra donna al momento. Il suo lavoro era più importante di
tutto e di tutti. L’unica persona che forse,avrebbe potuto amare totalmente era
se stesso, ma io sapevo che non stavano così le cose e non volevo farmene una
ragione. Ogni mattina appena sveglia prima del caffè accendevo il PC e andavo a
controllare se avevo nuove e-mail e uscivo scalza dal portone di casa in giardino,
per aprire la cassetta della posta e rientrare delusa a mani vuote.
L’abbandono non ti
avverte, arriva improvvisamente nella vita e ti sconvolge. Come un veleno che
ti uccide senza nessuna via d’uscita. Amare qualcuno che del tuo amore non se
ne fa un bel niente. La vita è fatta di gioie e di dolori, lezione di vita che
impari pian piano crescendo. E questa lo era. Una lezione che mi avrebbe
aiutato a crescere ancora di più, la Vivienne che ama cucinare i biscotti al
burro per le sue amiche ogni qualvolta arriva il Natale, quella donna che si
sentiva piccola dentro avrebbe così imparato a crescere. Questa era la mia
ragione. L’unica possibilità per andare avanti e continuare a vivere la mia
vita con la speranza che un giorno il pensiero fisso di Benjamin sarebbe stato
sepolto e divenuto solo un bel ricordo della mia vita.
(Di: Federico Finali)
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