To Rome with love

RECENSIONE:
Aspettative troppo alte avevo per questo film, speravo in battute taglienti che mi facessero saltare sulla poltrona, speravo che la visione che Allen avesse di Roma e dell’Italia non fosse classica e superficiale...


ma alla fine le mie alte aspettative sono state deluse. Quattro storie ci racconta Allen: una turista americana (Alison Pill) sta per sposarsi con un ragazzo italiano (Flavio Parenti) e i suoi genitori (Woody Allen e Judy Davis) arrivano a Roma per conoscere lo sposo e la sua famiglia; il signor Leopoldo Pisanello (Roberto Benigni) da uomo comune qual era si ritrova a diventare improvvisamente una celebrità senza nessunissima ragione; una coppia di sposini (Alessandro Tiberi e Alessandra Mastronardi) di provincia arriva a Roma per iniziare una nuova vita;  infine un giovane architetto americano (Jesse Eisenberg) si ritroverà alle prese con la migliore amica della sua fidanzata (Ellen Page) e con i consigli di un famoso architetto americano (Alec Baldwin) incontrato per puro caso.
Innanzitutto bisogna dire che doppiare questo film è stato un grosso errore, soprattutto considerando che due delle quattro storie sono girate in italiano e non sarebbe stato troppo impegnativo sottotitolare le restanti due né lo sarebbe stato per il pubblico leggere i sottotitoli:  il passaggio tra le storie doppiate e le storie non doppiate è a dir poco traumatico, senza contare la quantità di giochi e differenze linguistiche che vengono perse nel doppiaggio.
Veniamo adesso alle considerazioni serie: in una delle sue dichiarazioni Allen ha detto che nei suoi film ambientati in città Europee c’è la sua visione, la sua idea e i sentimenti suscitati da quella città; che cosa gli abbia suscitato Roma francamente è difficile dirlo, superficialità è l’aggettivo che più sembra adatto come risposta; Roma è bellissima, magica, eterna, romantica ma la visone che ci viene offerta è piuttosto superficiale, così come lo sono le storie e i dialoghi all’interno di queste, dialoghi che spesso paiono addirittura forzati. Questa è la mancanza principale di questo film, la superficialità e la mancata ispirazione.
 La fotografia di questo film è affidata a Darius Khondji, il quale si era già occupato della fotografia di Midnight in Paris, e bisogna dire che il suo lavoro è veramente ben svolto, le sequenze mostrate riescono a catturare la bellezza della città senza esagerare con l’effetto “cartolina” che abbiamo visto in Midnight in Paris. La Roma che Darius e Allen ci mostrano è migliore di quanto non lo sia in realtà, sgombra dal traffico, pulita, pittoresca addirittura idilliaca nelle sequenze in cui gli attori passeggiano vicino ai monumenti e nelle vie famose. Certamente non possiamo dire che quella del film sia la vera Roma visto che l’intero film è girato in pieno centro storico, dimenticandosi delle sterminate periferie che lo circondano, ma va anche detto che se non ci fosse il caos e le strade fossero completamente pulite la realtà non sarebbe poi così diversa dalla finzione. In fondo l’occhio col quale viene vista la città è essenzialmente l’occhio del turista, innamorato delle viuzze di Trastevere, dei monumenti antichi, delle fontane, delle piazze, della storia che c’è dietro ogni pietra. Un amore intenso ma quasi sempre breve, che, come un amore estivo, ha fine quando si torna alla realtà, esattamente come accade a Ellen Page nel film quando un secondo prima parla di girare l’intero stivale e il secondo dopo parla di tornare a L.A. a lavorare. Sicuramente noi che ci viviamo a Roma fatichiamo a ritrovare nel quotidiano le stesse emozioni che prova chi la vede per la prima volta e che vengono fuori solo in particolari momenti come notte fonda o mattino presto, con particolari stati d’animo e in particolari luoghi, ognuno ha il suo.
Gli attori sia italiani che Americani si sono comportati tutti molto bene, molto interessante è l’uso narrativo che Allen fa del personaggio di Alec Baldwin, una figura a metà tra il reale e la coscienza. Un ottimo Benigni ci mostra come la fama sia al tempo stesso una gioia e una maledizione , oltre che passeggera e spesso immeritata, mentre lo stesso Allen come interprete ci fa guardare con nostalgia a quelle che erano le grandi opere teatrali, a come sono state rovinate e a quanto è sceso il livello del teatro. Ma l’aspetto secondo me più interessante del personaggio di Allen sono i suoi discorsi su morte, pensione, vecchiaia: quando il personaggio ci descrive la sua paura di invecchiare guardando la televisione senza avere uno scopo con attaccato un catetere è pressoché certo che Allen sta parlando di se stesso, e il fatto che in questi discorsi il suo principale interlocutore sia la moglie psichiatra Judy Davis non fa che confermare questa teoria.
In conclusione mi sento di dire che, nonostante la delusione rispetto alle aspettative, vale comunque la pena di vedere questo film e che, anche se Allen non è e purtroppo forse non sarà più lo stesso di capolavori quali Io e Annie, o Amore e guerra, o Manhattan,  resterà per sempre uno dei più grandi di sempre e per questo andrà sempre apprezzato.

(Recensione: a cura di Tommaso Rossi.)

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