The Rum Diary

RECENSIONE:
Siamo nel 1960, Paul Kemp arriva a Portorico con problemi di alcool e un lavoro in una testata giornalistica vicino al fallimento.
Film basato sul romanzo di Hunter S. Thompson, giornalista e scrittore che ha già..


ispirato con il suo romanzo autobiografico, Paura e disgusto a Las Vegas, il film Paura e delirio a Las Vegas, con Benicio Del Toro e Johnny Depp. The Rum Diary non è lo stesso film, il protagonista e i fiumi di alcool e droga lo ricordano, ma qui siamo a Portorico: caldo umido, che affanna; il Rum, invisibile filo conduttore che unisce tutti i personaggi, ammanetta lo spettatore alla sedia, rendendo imprevedibile il film e i suoi protagonisti.
Film co-prodotto da Johnny Depp, amico intimo dello scrittore Hunter Thompson, e proprietario anche dei diritti del romanzo, scritto nel 1958 e riesumato recentemente da Depp stesso, con la sua casa editrice Infinitum Nihil. Diretto da Bruce Robinson, lontano dalla regia dal 1992 con Gli occhi del delitto, coautore anche della sceneggiatura, che diventa traduzione e riadattamento del romanzo originale, tanto da sembrare più un omaggio allo scrittore che una trasposizione su pellicola.
Paul Kemp, interpretato da Johnny Depp, alter-ego di un Hunter Thompson non ancora il Raoul Duke di Paura e delirio a Las Vegas, arriva in un' isola, dove i potenti dettano le regole, comprano spiagge, corrompono e costruiscono Hotel fino a coprire il panorama ai cittadini; poveri e succubi di un' America capitalista e ubriaca.
“Questa è l'America” sentenzia il capo-redattore Lotterman ( Richard Jenkins), come a dire: che ti aspettavi? Infatti ci suona famigliare vedere un pugno di potenti capitalisti sfruttare una bellissima terra, per portarci masse di persone a sperperare i loro soldi nelle sale da bowling e nell'alcool. Questo è quello che Kemp per un momento disprezza, ma accetta, perchè la sua mente è annebbiata dal rum, dalle donne e dalla bella vita. L'incontro con i più stravaganti personaggi, però, lo porterà a confrontarsi con le tante altre realtà di Portorico: dalla bella vita del magnate Sanderson ( Aaron Eckarth ), ai combattimenti tra galli di Bob Salas ( Michael Rispoli ), alla tartaruga ricoperta di diamanti, alla casa disastrata di un fotografo, che condivide la casa con un giornalista allucinato dalle ripetute sbronze e appassionato di discorsi di Hitler. Sicuramente i protagonisti, seppur poco fedeli al romanzo originale, sono una delle punte di diamante di questo film; figure che si muovono attraverso le strade dell'isola, disposti a tutto pur di raggiungere il potere o per alcuni semplicemente di sopravvivere, portandoci dentro sequenze uniche e situazioni fuori dal normale, così bizzarre da sembrare, alcune volte, anche fuori dalla trama stessa, già di suo difficile da delineare.
La ricostruzione di una Portorico anni 60 accresce la già bellissima fotografia; da apprezzare le sequenze dentro la casa del fotografo Bob Salas e l'ambiente perfettamente ricreato tra le scrivanie del giornale.
Come con i postumi di una sbornia  a stento ci muoviamo nella trama, e ci affidiamo a  Johnny Depp per comprendere le reali intenzioni di questo film e del protagonista. Proprio il fatto che  neanche Paul Kemp, giornalista ancora un po' ingenuo nell'ambiente corrotto del capitalismo, conosce la sua vera strada, porta il film ad apparire confuso e in attesa di una svolta. Intanto l'alcool e le droghe gestiscono la partita, e quasi tutte le scene più importanti del film girano intorno a questi due attori, i veri ed invisibili protagonisti.
Vediamo il protagonista muoversi dentro piccole sotto-trame, in un vortice di sregolatezza dal quale Kemp non riesce ad uscire, innamorandosi della donna sbagliata, la bellissima e sensuale amante di Sanderson, Chenault ( Amber Heard ), con cui da subito instaura un dialogo di sguardi e allusioni.
Gli eventi cambiano e si trasformano, portando il protagonista davanti a due scelte, e forse il protagonista sceglie quella più ingenua, combattere contro Golia, combattere contro la natura corrotto dall'uomo, contro il potere che può azzittire anche la libertà di stampa. Compie la sua scelta, portandoci ad un finale che purtroppo si perde, e lascia il vuoto di poche parole scritte mentre l'eroe, perdente, ma non sconfitto, si allontana verso l'orizzonte, rovinandoci all'ultimo un film degno del genere Cult.
Un Johnny Depp diverso dal Raoul Duke di Paura e delirio a Las Vegas, per questo potrebbe non essere apprezzato da chi si aspettava un film al cardiopalma, al contrario ci troviamo in una pellicola che riflette, che delira e che ti impressiona. Strappa qualche risata in alcuni momenti e ti lascia sorpreso in altri, mentre è solo un film mediocre per chi non ha l'intelligenza adatta per apprezzare il disagio intrinseco di questi personaggi.

(Recensione: a cura di Alessio Paolesse.)

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